
Fanno muovere un business da milioni di Euro. Sono le celebrità del momento. Star chefs e nuove “Lisa Biondi” della TV italiana che fanno lievitare gli ascolti. Chefs tenebrosi, duri, intransigenti, rudi, che giudicano concorrenti speranzosi spesso in lacrime (…). E poi le signore della TV, sorridenti e ammiccanti, dispensatrici di consigli utili e ricette facili e originali come la “padellata di pollo e wurstel con riso basmati” di Benedetta Parodi. E anche chi non cucina guarda i programmi di cucina. Ama, odia, si immedesima, fa il tifo, prende appunti, imita. Guarda e si nutre di (ir)reality shows, di fotogrammi, di pubblicità.
Ma fateci caso durante i programmi quante volte avete sentito uno chef, una Parodi qualsiasi parlare di origine (intesa come metodo di produzione oltre che di provenienza) dei prodotti che stanno cucinando?

Avete mai sentito dire “usate/comprate un pollo possibilmente biologico allevato all’aperto”? O citare il metodo

di allevamento e la provenienza dei prodotti usati durante le sfide tra chefs o i reality del caso?
Un pollo biologico allevato all’aperto è altro rispetto a un pollo spelacchiato da batteria, trattato con antibiotici. Anche dal punto di vista etico dell’allevamenti degli animali.

E questo si dovrebbe dire nelle cucine della TV. Perché parlare poi di valorizzazione delle eccellenze agroalimentari e di Dieta Mediterranea senza ricominciare a raccontare l’ agricoltura e la sua storia non è percorribile. Se la comunicazione del cibo avviene solo a livello estetico e se nell’ambito della narrazione televisiva i metodi di agricoltura e di allevamento dei prodotti utilizzati diventano aspetti irrilevanti al fine dello show cooking non stupisce poi che nei carrelli della spesa finiscano sempre più cibi low cost o similprodotti* .
*dati Dossier “I rischi del cibo low cost” Coldiretti 2013
Foto copertina DENNIS HALLINAN/ARCHIVE PHOTOS/GETTY IMAGES